Per approfondire
Mallé a Dronero:
un'antica casa e le sue collezioni
Elena Ragusa
« Qui, naturalmente, fa caldo ma fa fresco, e nulla è più ameno, più rutilante, più fascinoso che restare in questa divina, terra di Dronero, ove terra, cielo, mare, montagne, laghi, fiumi, ruscelli, pianure, valli, tutto volge quotidianamente un inno al Creatore che dall'alto dei cieli la contempla estasiato e dice: come l'ho fatta bella! Qui si vive, si gioisce, si canta e danza tutto l'anno fra organi e organetti, trombe e tamburi, violini e violoncelli, clavicembali e, soprattutto, arpe le cui armoniose melodie ricorrono per ogni dove, ma solo fino a Busca e non oltre. Questa è davvero l'isola dei Beati, colma di fiori, dalle orchidee e violette, di frutti rari ed esotici, di bellissime donne peraltro tutte virtuose; e nel mezzo della piazza del teatro c'è la "Fontana di Jouvence" in cui tutti i droneresi si bagnano ogni giorno, uscendone corroborati, e vieppiù virtuosi ». Cosi Mallé in una lettera dell'agosto 1974 esprime in una prosa iperbolica il suo amore per la cittadina del cuneese cui due anni dopo deciderà di "legare" la propria casa e la collezione cresciuta in tanti anni di appassionato impegno di studio.
La casa di famiglia a Dronero rivestiva certamente per lui, figlio unico, orfano di madre fin dalla prima adolescenza e portato per temperamento ad uno studio solitario quanto alacre, un'oasi tranquilla ove potersi rifugiare. Ancora negli ultimi anni amari e minati dalla malattia troverà ragione di vita in questo angolo di terra cuneese: « Sono qui a Dronero, nell'oasi, nel paradiso terrestre comunque a Dronero, l'unico posto al mondo dove vale ancora un sacrificio stare » (da una lettera del 1° giugno 1975). È il luogo della tranquillità, del preteso ozio che in realtà è ancora una volta studio indefesso con continue richieste a Torino di libri e fotocopie per proseguire e approfondire gli studi. Una casa tranquilla con un piccolo cortile e terrazzo interamente avvolto dalla vite vergine che doveva proteggere da rumori e occhi indiscreti le sue giornate scandite dallo studio, dalle letture e dall'ascolto della musica: infatti pochi a Dronero ebbero la possibilità ai tempi di conoscere "il professore". La casa è anche il rifugio degli anni della guerra, quando giovane studente in giurisprudenza nel 1943-44 sfolla qui da Torino col padre.
Col passare degli anni, soprattutto dopo le dimissioni dalla direzione del Museo torinese, ma anche precedentemente, i periodi che vi trascorre si allungano; non solo più il tradizionale giorno di San Giovanni e l'agosto, ma lunghi mesi fino all'autunno inoltrato, come nel 1970 in cui approfitta della tranquillità dronerese per preparare l'ultimo catalogo del Museo Civico dedicato alla collezione dei vetri. Probabilmente è in questi soggiorni che prende corpo l'idea di dare un futuro a questa "casa delle memorie" animandola con gli oggetti collezionati a Torino fin dagli anni '60. Negli ultimi anni di vita, raccontano le signorine Acconci affittuarie dell'ala occidentale della casa, si vanno cosi concentrando soprattutto al secondo piano i suoi dipinti, stampe e sculture mentre si limitano al pianterreno gli spazi in cui vive. Quando nel marzo 1980 il notaio Congedo di Dronero procederà all'inventario dell'eredità, saranno l'antiquario Giorgio Fulcheri e il prof. Piero Camilla di Cuneo che elencheranno e stimeranno tutto il patrimonio, sia di opere d'arte che di libri, conservato nella casa. Ma a quella data sembra che ormai gli ambienti, anche se denominati dalle loro funzioni (studiolo, salotto, locale di servizio annesso allo studiolo, sala da pranzo al pianterreno) non siano più arredati compiutamente e le opere siano depositate più che inserite nell'arredo. Di qui le difficoltà incontrate nell'attuale allestimento che ha dovuto inoltre misurarsi con una ristrutturazione architettonica non calibrata alla casa, e soprattutto alle intenzioni di Mallé di fame una Casa Museo.
Già nel 1981, Andreina Griseri negli Studi in onore dello studioso, ci ha restituito l'atmosfera di questa casa, segnalando le testimonianze chiave del suo collezionismo senza dimenticarne il profondo radicamento nel tessuto dronerese.
I gusti e le passioni dello studioso traspaiono nei molti dipinti, nelle incisioni Sette e Ottocentesche e nelle porcellane. Emerge chiara la predilezione per il '600 e '700 cui, a partire dal 1963 con la mostra del Barocco, aveva dedicato buona parte degli studi con serrati contributi sulla scultura. Non da meno è la passione per la pittura fiamminga e olandese, maturata in epoca giovanile con l'occasione di una borsa di studio a Bruxelles, ottenuta dall'Unesco quando già lavorava al Museo Civico (1951). Due generi sembra lo attraggano in modi diversi: il paesaggio, secondo le inclinazioni dell'avanzato Ottocento, in versione domestica e misurata qual si poteva ben adattare infine anche agli ambienti antiquati della casa paterna, e il ritratto, a pastello o a olio che sembra per lui avere valenze particolari. Due generi che, come pochi, potevano ricreargli attorno un'atmosfera familiare in quella casa affidata ormai solo a lui, senza eredi diretti e nella quale ogni oggetto, dalla fotografia alla stoviglia, al letto in ghisa rimandava ai suoi antenati. In questo senso oggi i bei pastelli francesi, il ritratto affettuoso dell'architetto col bambino in braccio entrano veramente a far parte della storia della famiglia Mallé inserendosi in modo naturale tra le tante, bellissime, foto di famiglia schedate minuziosamente da Milli Chegai in questo stesso catalogo. E qui si apre uno dei capitoli più affascinanti della collezione che segna un contributo di grande importanza nella conoscenza dei fotografi piemontesi e in particolar modo cuneesi ancora non ben conosciuti.
Le famiglie Mallé-Demichelis e Giordano, nonni di Luigi, amavano, come d'altronde nella moda del tempo, farsi fotografare, e ci hanno lasciato un insieme di documenti di qualità come sottolinea il repertorio in questo catalogo. I fotografi cui si affidavano non erano soltanto i famosi Schemboche, Le Lieure o As-sale ma anche Chiappa, Garaffi, Ricci di Cuneo o Bargis di Saluzzo o ancora la fotografa Matilde Martina di Alba. Restano anonime, ma speriamo non per molto, alcune foto di impressionante resa come quella del notaio Paolo Malle nel suo studio, riprodotta ad apertura del testo di Milli Chegai e lo stesso sul letto di morte in una stanza ove vediamo alle pareti un ricamo devozionale ottocentesco ancor ora nella collezione.
Anche il folto nucleo di dipinti e disegni intimisti di Federico Boccardo, pittore amato e studiato in modo particolare da Mallé, trova oggi posto sulle pareti della casa a precedere il consistente gruppo di dipinti d'arte moderna collezionati negli anni in cui è direttore della Galleria d'Arte Moderna e che si ricollegano in gran parte agli indirizzi culturali impressi alla attività del museo. Un capitolo senz'altro nuovo per la città di Dronero, che si vede cosi omaggiata di un nucleo importante d'arte moderna: e interessante però scoprire che alle pareti della biblioteca civica, oggi al pianterreno dell'edificio, sia appeso un dipinto di Parisot, tanto amico di Mallé e cosi ben rappresentato nella collezione nei vari periodi della sua attività. È in realtà un'opera premiata nel 1966 al Premio Nazionale Biennale "Giovanni Giolitti" che si tenne tra 1965 e 1970 a Dronero e che vide presenti alcuni tra i più significativi artisti piemontesi dell'epoca.
Un capitolo importante della collezione e che ben si aggancia alle testimonianze vissute della casa e la serie di porcellane, maioliche e terraglie raccolte negli anni con acquisti a Torino da Accorsi e Armand Colombari, come gli stupendi pastelli, o anche a Savigliano dall'antiquario Mussa. Una galleria di porcellane che spazia dalla Manifattura di Meissen a quella di Sevres, da quella di Niderviller a quella di Wedgwood, con tazze da caffè, da crema o trembleuses, dalle cineserie settecentesche alla produzione inglese, di qualità, ma seriale già novecentesca.
Da Torino proviene anche l'interessante serie di piatti in maiolica impressi della Manifattura di Sarreguemines con scene relative a vane invenzioni: da quella del telaio meccanico, a quella della polvere da sparo o dell'aerostato che decoravano le pareti insieme ad un curioso trio di piatti con lo stesso decoro blu a velieri realizzato da tre manifatture diverse (Wedgwood, Richard Ginori e un'altra non identificata) con esiti qualitativi ad evidenza differenti. Sono proprio queste testimonianze, di forte valenza decorativa e adatte ad un arredo domestico, che ben si inseriscono nelle ceramiche d'uso di casa: dai catini per toeletta inglesi, ai vasi da notte francesi e italiani e ai biscuit devozionali, documentati quest'ultimi su una credenza, in un'atmosfera quanto mai vissuta, accanto alle consuete foto di famiglia. Sembrerebbero invece parte dell'arredo antico della casa, in quanto non citati in un elenco allegato all'inventario di eredità, gli straordinari vasi liberty Galle e Daum, forse della famiglia del nonno notaio in Dronero o magari dono di nozze ai genitori sposatisi nel 1919.
L'arredo della casa, stratificatosi negli anni, vede, accanto a dimessi mobili ottocenteschi, una sala da pranzo neorinascimento, concessione alla moda dei nonni Paolo Mallé e Giuseppina Demichelis, letti in ghisa e disinvolti mobili da giardino in midollino, per quel cortile oggi un po' spoglio, in realtà molto vissuto dalla famiglia che vi è ritratta a più riprese in alcune fotografie tra le più belle, e utili della collezione, per ricostruire l'atmosfera domestica. A quest'arredo Mallé aggiunge pochi, ma importantissimi arredi settecenteschi di alta qualità come la chaise-longue, il bureau-libreria e il cassettone impiallicciato di tardo Settecento, oggi animati da porcellane e orologi. La sua passione per l'intaglio settecentesco trovava soddisfazione nella cantoniera sulla quale amava spiegare le tecniche alle signorine Acconci, con cui manteneva un rapporto affettuoso e confidenziale.
È alla bella consolle rococò, anche se impoverita dalla quasi completa mancanza della doratura, che viene affidato oggi nel Museo il ricordo della competenza con cui egli si muoveva in questo campo, approfondito in occasione del catalogo dei mobili e arredi del Museo Civico di Torino, edito alla fine della sua carriera, poco prima delle dimissioni. Proprio la leggerezza e morbidezza di intaglio di questo mobile trova riscontro in una preziosa quanto, parrebbe, rara serie di incisioni tedesche sulle "Quattro parti del giorno" comprese in cornici di un rococò sfrenato dovute al pittore d'origine tirolese J.W. Baumgartner. Sembrerebbero queste le uniche stampe affidate al Museo dal Mallé mentre l'interessante serie di Boucheron e Poggioli sui dipinti della Galleria Sabauda, cosi come tutte le altre incisioni e litografie ottocentesche, sarebbero ereditati dalla famiglia, peraltro imparentata per parte materna, con l'incisore Celestino Turletti di cui sono infatti presenti nella collezione due acqueforti.
Incisioni sparse, illustrazioni da pubblicazioni a dispense testimoniano altri interessi succedutesi nel tempo: come le illustrazioni dalla "Sacra Bibbia di Vence" edita a Milano tra 1832 e 1835 con dedica a Francesco I d'Austria, che ci domandiamo se potrebbe essere appartenuta a Don Antonino Mallé vissuto nella prima metà dell'Ottocento. A lui si deve con ogni probabilità la singolare collezione di reliquie e la concessione di poter officiare la messa in casa, cosi come attestato da un documento della Curia e dalla presenza di un mobile-altare dotato del servizio pertinente. La ricchezza e eterogeneità della collezione si manifesta anche nella presenza di piccoli soprammobili, di argenti, sheffield o peltri d'uso accostati a bicchieri, caraffe, vasi in vetro e ceramica tra il tardo Ottocento e il primo Novecento in anni in cui la casa era ancora abitata stabilmente dalla famiglia del notaio Mallé prima della morte della moglie, della partenza del figlio Achille e del ritiro della figlia Pia nell'Ordine delle Suore Vincenziane. Coi genitori di Mallé la casa diviene definitivamente residenza di villeggiatura ed è quindi presumibile che l'impronta dell'arredo si assesti intorno agli anni '20. Possiamo citare ancora altre testimonianze del variegato e composito aspetto del patrimonio della casa: i giocattoli, presumibilmente di Luigi bambino, un capitolo da studiare specificatamente ma indubbia parte integrante di questo luogo del ricordo. Cosi come il piccolo nucleo di ventagli in non eccellenti condizioni di conservazione, che meriteranno in futuro un'attenzione più approfondita.
E infine, non certo secondari nell'importanza globale del lascito, sono la collezione di dischi, in massima parte di musica d'opera, grande passione di Mallé, e parte della biblioteca della casa, oggi accuratamente schedata grazie alla collaborazione della Biblioteca Civica di Cuneo e alla fondamentale presenza in loco di un volenteroso obiettore di coscienza.
La biblioteca ai tempi della divisione dell'eredità nel 1980 è stata frazionata tra gli eredi ed è oggi di fatto consultabile solo in una minima parte in cui si combinano i libri di casa con narrativa alla Delly, con quelli eruditi di studio e copie dei testi da lui pubblicati.
In sostanza ciò che Luigi Mallé lascia a Dronero non è quindi soltanto il risvolto concreto di una passione inesausta per le opere artistiche dei generi più svariati, ma la testimonianza di un forte legame, che si approfondì negli anni, con le radici familiari. Non è infatti casuale che nelle opere portate da Torino a Dronero appaiano i due piccoli ritratti dei nonni paterni da giovani, che sicuramente il padre Mario e il giovane Luigi, avevano voluto avere nella loro casa di Torino.
E. Ragusa, in E. Ragusa (a cura di), Museo Mallé Dronero, L’Artistica Savigliano, 1995, pp.43-49.