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Scheda approfondimento

 Fra i protagonisti della scena artistica torinese del secondo dopoguerra, Giacomo Soffiantino mette a frutto gli insegnamenti ricevuti in Accademia Albertina da Francesco Menzio e Mario Calandri circa il modo di rappresentare con il segno l’atmosfera della natura. Coinvolto nel generale clima informale degli anni cinquanta, la sua ricerca si sottrae ad una manierata declinazione del fenomeno, dando vita con Ruggeri e Saroni, al trio di punta degli “informali naturalisti”. Appuntamenti espositivi importanti come la partecipazione a diverse edizioni della Biennale di Venezia (a partire dal 1956), e la prima personale nel 1961 alla galleria La Bussola di Torino, precisano l’indirizzo del lavoro pittorico finalizzato ad una riscoperta della bellezza della natura nei rapporti di luce ed essenza delle forme come attesta la tecnica mista Alberi a Cumiana. L’atmosfera misteriosa del bosco e l’intrico dei rami sono pretesti per esercitare un lavorìo sul segno pittorico, convulso e raggrumato, nei soli toni del nero, del bianco gessoso e del colore naturale del supporto.

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