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Scheda approfondimento Santo Vescovo - Stefano Lamberti

Bottega trentina di Stefano Lamberti

Brescia 1482 - 1538

 

Santo Vescovo

1510 / 1520 – Legno intagliato policromo
122,5 x 45 x 34 cm., inv. 132
Restauro: 1995,
K. Doneux, Torino.
L'opera è riconoscibile nell'elenco allegato all'inventario d'eredità, collocata nel salotto.

 

La scultura, a tutto tondo, utilizza un unico blocco di legno con poche aggiunte laterali (per il manto), ed è completamente policroma; non doveva dunque provenire da un altare, ma essere visibile per intero. E’ in discrete condizioni di conservazione, ma ha perso la parte alta della mitra, la parte superiore di un oggetto che doveva essere un calice, che teneva in mano, un dito della stessa mano e parte del pastorale e del nodo ad esso legato. Il recente restauro ne ha rilevato la splendente policromia, purtroppo danneggiata, a quanto e emerso, nella parte del manto: questo, che attualmente si presenta rosso, mostra in vista il bolo di preparazione, che doveva venire coperto da argentatura o doratura, oppure, come in opere coeve, da un colore rosso su rosso a imitazione di un damasco. Vecchi interventi hanno asportato lo strato superiore, ed avevano inoltre ricoperto la scultura di uno spesso strato di colle, mentre la parte inferiore della veste era stata ridipinta con un diverso motivo. L'opera appare di qualità molto alta sia nei suoi volumi sia nelle superfici dipinte e dorate: mostra infatti un profondo dominio di mezzi tecnici nella modellazione del corpo, morbidamente coperto dalle pieghe delle vesti, che accompagnano per esempio il ginocchio sinistro leggermente sporgente, e una notevole capacita ritrattistica nel delineare i lineamenti del viso;

contemporaneamente è dotata anche di una policromia raffinatissima, fatta per essere vista a distanza abbastanza ravvicinata. E’ questo forse l'aspetto che le è più caratteristico, insieme ad una acuta attenzione al dettaglio descrittivo. L'abito del santo, per esempio, è formato da quattro vesti sovrapposte: la prima, azzurra, è ornata nella parte inferiore di motivi quadrati con all'interno fiori diversi, dorati a simulare intarsi di ricamo, e finisce con un collo alto a due punte, bordato d'oro; la seconda emerge sulle maniche ed in una pieghettatura al di sotto della cotta, ed ha un raffinato motivo ottenuto dorando completamente le superfici, dipingendole di bianco ed in seguito graffiando il colore con sottili linee orizzontali a simulare un tessuto laminato d'oro; la terza è una sorta di cotta, arricciata al collo e completamente dorata; infine il personaggio indossa il piviale, verde all'interno, danneggiato, come si è detto, all'esterno, ma munito di un bordo che reca un ampio motivo dorato a fogliami, è chiuso da un fermaglio a cuore. La parte però più interessante del piviale è, nel retro della figura, il capino (cappuccio) di forma lunga e stretta, che reca un complesso motivo decorativo, purtroppo oggi molto abraso: al centro è rappresentata la figura del Cristo con il globo e la croce, bordata da un ampio motivo ad archetti delimitato da un altro più sottile, tutti realizzati con la stessa tecnica del colore graffito sopra l'oro; in questo caso però il graffito segue la forma delle figure, imitando un ricamo con fili dorati; il capino termina con una nappa a nodo intrecciato. Questa stessa accuratezza di dettagli scolpiti e dipinti si ritrova nella cuffia indossata sotto la mitra, nell'asimmetria delle pietre preziose che adornano il copricapo, nel panno annodato al pastorale, sempre laminato d'oro e con due motivi a righe rosse e blu, nelle sottili pennellate che descrivono i capelli che fuoriescono dalla mitra. Il viso invece è realizzato a sottili velature sovrapposte, da cui traspaiono il rosso delle gote e il grigio della barba. La tecnica di policromia a velature sottili, ed inoltre certi particolari di tipo iconografico (il pastorale con un tessuto annodato intorno, le infule della mitra portate una sulla spalla e una dietro) sono molto probabilmente spie di una provenienza dall'area trentina. Tuttavia, la parte scolpita non sembra mostrare nessun rapporto con lo stile, in maggiore o minore misura ripreso dal Rinascimento tedesco, delle sculture di quest'area. Un cosi alto livello di qualità, la datazione che dovrebbe attestarsi intorno al secondo decennio del Cinquecento e una evidente componente non tedesca nello stile portano dunque all'unico scultore non locale e di qualità attivo in zona, e cioè a Stefano Lamberti, considerato (A. Peroni, 1963, pp. 800-807) il miglior scultore bresciano di primo Cinquecento, attivo in Trentino con almeno due opere documentate(una del 1514, l'altra del 1530) tuttora esistenti, e diverse altre attribuibili. Il Lamberti e inoltre ricordato come l'autore di alcune cospicue cornici lignee scolpite, due a Brescia e una a Padova, in due casi ospitanti opere del Romanino. Il panneggio morbido, ampiamente sviluppato gli è caratteristico, così come, nella produzione più antica, un certo arcaismo nella definizione dei volti che tuttavia «non ostacola.... la perspicua indagine naturalistica che consente di cogliere ogni dettaglio » (A. Bacchi 1989, p. 190). Tuttavia, poichè le opere trentine documentate appaiono ampiamente ridipinte, non è facile accertare il rapporto che dovette legare Stefano Lamberti ad un raffinato pittore locale, la qualità del cui intervento trova pochi riscontri anche nella stessa zona.

 

Alessandra Guerrini, in E. Ragusa (a cura di), Museo Mallé Dronero, L’Artistica Savigliano, 1995.

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